Di recente la frammentazione del diritto internazionale ha riportato al centro del dibattito dei giusinternazionalisti il problema dell’ermeneutica. Sino a oggi, tuttavia, il tema è stato affrontato più su un piano strettamente giuridico che non come questione rilevante per la teoria del diritto. Ricostruendo le origini delle regole interpretative, questa ricerca vuole indicare invece che la specificità dell’ordinamento internazionale potrebbe risiedere proprio nel successo della codificazione dei criteri ermeneutici. Al centro dell’analisi si collocano le ragioni che spinsero a codificare l’interpretazione negli artt. 31-33 della Convenzione di Vienna sui Trattati, che fu una tappa della lotta per la certezza, poi ingaggiata dalla Commissione di diritto internazionale nel suo rapporto sulla frammentazione. Nonostante il tentativo della Commissione di non far penetrare nel cuore dell’ordinamento internazionale il paradigma della traduzione, questo libro intende mostrare che l’art. 33 è una delle norme più promettenti nell’ambito dell’interpretazione. L’aver presupposto l’equivalenza tra i testi dei trattati ha occultato come sia proprio negli spazi di non-equivalenza che la traduzione svela le sue virtù euristiche.
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